Il minimo intervento raggiunge il suo apice, nella mia immaginazione, quando un progetto “architettonico” raggiunge una tale forza poetica che lo rende anche più forte della sua realizzazione (oserei il “massimo intervento minimo”).
Ad esempio penso all'effetto dirompente sulla recente storia dell'architettura che hanno apportato i 2 progetti più belli (ma entrambi sconfitti) (Tschumi, Koolhaas), presentati al concorso del 1989 per la biblioteca di Parigi, entrambi caratterizzati da una “'irrealizzabilità realizzabile dichiarata”.
La mia testa è stata ormai plasmata e lì dove sorgono le torri di Perrault continuo a non arrendermi e a cercare quelle immagini così forti del cubotto traslucido di Koolhaas o “l'assurdo camion in corsa” (Frampton, Storia dell'arhitettura moderna) di Tschumi.
La mediatizzazione dei progetti che va oltre il progetto realizzato!
La fenomenologia di un progetto supera il progetto stesso e la realtà concreta.
“Non dobbiamo dunque chiederci se percepiamo veramente un mondo, dobbiamo invece dire: il mondo è ciò che percepiamo. Più in generale, non dobbiamo chiederci se le nostre evidenze sono delle verità, o se, per un vizio del nostro spirito, ciò che è evidente per noi non sarebbe poi illusorio nei confronti di qualche verità in sé: infatti se parliamo di illusione è perchè abbiamo riconosciuto delle illusioni, e abbiamo potuto farlo solo in nome di qualche percezione che, nello stesso momento, si assestasse come vera, cosicché il dubbio o il timore di ingannarsi afferma nel contempo il nostro potere di svelare l’errore e non potrebbe quindi sradicarci dalla verità.”
[Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della Percezione]
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